Claudio

«NOI SIAMO IL GRUPPO EROTICO
TIFOSI DELLA LAZIO
SIAM PIENI DI LIBIDINE
NON CI ROMPETE IL CAZZO!!!»

Sul trampolino alto della piscina, aveva declamato il coretto da stadio con tutta la voce che aveva in gola prima di tuffarsi a bomba tra gli schizzi, i sorrisi delle gazzelle e un po’ di mal celata invidia da parte degli altri maschi del gruppo.
Le parole erano venute fuori un po’ stridule come se, nell’enfasi del momento, qualcuno gli avesse strizzato sul più bello i maroni. L’effetto però, ve lo assicuro, fu devastante: l’intera piscina comunale, colma di adolescenti scampati a un mercoledì scolastico, gli tributò uno scrosciante applauso, come al Foro Italico dopo una serie di scambi mozzafiato.
Non indagai mai sul perché di quella scenetta pomeridiana. Una scommessa persa o una prova di coraggio? Claudio per molti di noi era un capo. Un adolescente forse un  po’ gasato che aveva perso qualche anno di scuola qua e là e a cui piaceva alternare spietatamente atteggiamenti da bullo e di magnifica maturità.

Rimasi molto colpito quando mi dissero che era morto. Incidente sul lavoro. Nei boschi. Mentre operava da taglialegna. Poco più che un ragazzo. Dal racconto non riuscii mai a capire come andarono davvero le cose. Per anni gli avevo vissuto accanto, puntando soprattutto sul risultargli invisibile. Troppo pungenti i suoi scherzi: odiavo quando prendeva di mira il mio accento troppo meridionale, la scarsa propensione al calcio giocato e all’hockey a rotelle sul piazzale delle scuole medie.
Sembra quasi di poter tirare un sospiro di sollievo davanti a una morte giunta per l’ultima di una lunga serie di bravate. La prima finita male. Quando, al contrario, penso a un tiro mancino del fato, ai titoli dei giornali, alla mancanza di sicurezza nei boschi del Canton Ticino, resto disarmato, come davanti alla mia casa appena svaligiata. Per mesi, dopo aver saputo che Claudio non c’era più, mi persi nella macabra ricerca di un semplice articolo di nera, di una foto, di un trafiletto in cronaca lungo una manciata di battute. Non ne trovai mai.

Quando ti eri rotto la gamba e ti avevano ingessato fino all’inguine, Claudio ti aveva caricato sulle spalle per settimane. Ti aveva portato ogni mattina fino al secondo piano della scuola cantonale. La sua era una dimostrazione di forza ma anche il suo modo per farsi perdonare mille bastardate. Per farsi accettare. A scuola, un gesto del genere, nessun altro lo avrebbe né – soprattutto – lo aveva fatto.
A Siria, una volta, aveva rotto il polso con un calcio. Lei quel giorno continuava a tormentarlo con un giochino elastico che aveva comprato nel chiosco della pompa di benzina intasata di frontalieri. Tutti sapevamo quanto Claudio fosse un bravo ragazzo.

Chissà quando aveva imparato quella filastrocca? Un coretto cantato dai tifosi di una squadra lontana più di 1000 Km dalla sua stanza piena di dischi dei Depeche Mode. In anni in cui internet non ce lo sognavamo neppure – e i nostri primi porno ce li scambiavamo in VHS – poteva averlo ascoltato solo a San Siro, magari  assistendo a una partita della sua Inter contro i gemellati biancazzurri.
Oggi gli avresti chiesto – ma secondo te, che minchia c’è di erotico a tenere per la Lazio? – e invece, mille anni dopo, la mente resta ancorata a quel pomeriggio adolescenziale di torrido sole elvetico, a un Mondo col fiato sospeso mentre si lancia dal trampolino tra gli ohhhhhhh della Debbie, della Vanina e della Camponovo. La meraviglia sui visi di Fabio, Max il Capitano, Favi, Foglia, Davide, Emi, Ine, la 3^F, la scuola tutta, compresi Barabba e Cagagrigio. La squadra allievi rossoblù, la Valascia, i colleghi boscaioli che ancora avrebbe dovuto conoscere. Tutti ancora lì, aspettano che riemerga dall’acqua per potergli dare il cinque ancora una volta, per dargli del cazzone, per un’altra Gibigiana a tempo di rock.

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Tempere e acrilici sono di Lorenzo Pierfelice.

Un pensiero su “Claudio

  1. Grazie Koppolella, per essere passato nella mia casa de vecchiarella. Sta storia se vera, me dispiace pe Claudio. La vita quanno se perde da giovinotti fa più male. ‘N caro saluto a presto 😦

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